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BABY CASE

Principali errori medici nei baby cases

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Cosa si intende con il termine  baby case 

Questo termine di origine anglosassone si riferisce a tutti quei sinistri che hanno ad oggetto la salute del feto e del neonato. Nella prassi assicurativa, anche italiana, rientrano in questa categoria, i danni che il nascituro e/o neonato, subisce a causa di fatti commissivi e/o omissivi colposi dei sanitari in fase di monitoraggio della gravidanza, in fase di parto ovvero nel post partum e, specificatamente, in relazione all'assistenza neonatologica. Ovviamente a danno subito dal bambino correla, nella stragrande maggioranza dei casi anche un danno "c.d. rifesso" dei suoi genitori, anch'esso risarcibile.  

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Principali errori medici  nei baby cases

In ambito ginecologico, ostetrico, neonatologico o pediatrico, il mancato o tardivo intervento può portare a danni anche fatali non solo per la madre ma anche per il bambino. Errata diagnosi prenatale, diagnosi errata di malattie, omessa diagnosi di malformazione del feto, danni alla madre durante il parto, parto distocico non correttamente gestito, morte del feto o del bambino, problemi del bambino post-parto: sono solo alcune delle responsabilità mediche che possono incorrere quando si parla di errori in ambito ginecologico, talvolta capaci di minare la sopravvivenza del paziente stesso.

  • Errata diagnosi prenatale, diagnosi errata di malattie genetiche, omessa diagnosi di malformazione del feto, danni alla madre durante il parto, parto distocico non correttamente gestito, morte del feto o del bambino, problemi del bambino post-partum per sofferenza pre o perinatale da ipossia

  • Distocia di spalla e lesione del plesso brachiale

  • Omesso corretto trattamento neonatologico del bambino nato con sofferenza fetale.

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Ecco  alcuni casi affrontati con successo da noi

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BABY CASE

Caso di omessa diagnosi di spina bifida

Danno Subito

I genitori Luana e Gianni hanno subito un danno jure proprio da “nascita indesiderata” nonché un danno biologico di natura psichica per il grave trauma subito. Nessun danno può essere, di contro, individuato in capo al neonato poiché la sua grave patologia non poteva essere emendata neppure con una tempestiva diagnosi intrauterina – malgrado siano stati eseguiti, in via sperimentale degli interventi chirurgici di chiusura della spina bifida durante la gravidanza – ed in considerazione del fatto che il nostro ordinamento non riconosce il “diritto a non nascere se non sano”.

Storia

Risarcimento

380.000,00 Euro

Abbiamo patrocinato il caso di Luana e Gianni, genitori del piccolo Alfredo nato a seguito di taglio cesareo affetto da mielomeningocele (c.d. spina bifida). I genitori, desiderosi di prole, si erano rivolti ad una ginecologa di fiducia già nella fase del concepimento per verificare, attraverso le analisi loro prescritte, l’assenza di tare genetiche trasmissibili al nascituro. Avendo ricevuto rassicurazioni in tal senso, si determinavano nel ricercare una gravidanza che si instaurava da lì a poco. La gestante veniva seguita sin dalle prime fase dalla medesima ginecologa di fiducia la quale, all’interno del suo studio, metteva a disposizione il “servizio” di ecografia morfologica con un radiologo di propria fiducia. Malgrado i regolari controlli effettuati e l’assunzione dei farmaci prescritti (nella specie acido folico) nei dosaggi indicati, alla nascita al piccolo Alfredo veniva diagnosticata la spina bifida che comportava, subito dopo il parto, l’esecuzione del primo di una lunga serie di interventi chirurgici (da eseguirsi secondo i vari step di crescita) che, purtuttavia, non potevano risolvere gli effetti della grave patologia (disturbo cognitivo, difetto di deambulazione, non controllo sfinteriale, etc..). Dopo uno studio approfondito del caso dal punto di vista medico legale e giurisprudenziale si optava per la formulazione di una richiesta risarcitoria nei confronti della ginecologa che aveva seguito l’intera gravidanza nonché del radiologo che aveva eseguito le ecografie morfologiche contestando loro, da un lato, una erronea prescrizione di acido folico (sottodosato) e, dall’altro, l’omessa diagnosi di spina bifida. Ciò aveva cagionato ai genitori il danno c.d. “da nascita indesiderata” poiché, essendo risultato provato che gli stessi desiderassero un figlio sano, non avendo ricevuto una corretta informazione da parte dei sanitari, si sarebbero potuti determinare per una interruzione volontaria della gravidanza, ricorrendone i presupposti previsti dalla legge. In fase di mediazione le parti tutte si determinavano per la nomina di un collegio di periti chiamati a pronunciarsi sul caso di specie. Venivano accertati gli errori dei sanitari (ginecologa e radiologo) sia nella prescrizione farmacologica – l’acido folico è integratore che agevola in fase di formazione fetale la chiusura della spina dorsale – sia nel non avere seguito le linee guida nell’esecuzione delle ecografie morfologiche, talchè l’omessa diagnosi di spina bifida poteva imputarsi a negligenza dell’operatore. Sulla scorta di tali risultanze le parti si determinavano nella definizione bonaria della controversia in sede di mediazione.

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